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Antonella e l’immaginazione
Antonio Petrucci

Antonella De Nisco ha avuto un dono dalle fate: il dono di vedere quello che non c’è e di farlo vedere anche a noi.
Il suo rapporto intenso con una reinventata, anzi rivissuta, arte della tessitura, le permette di cucire insieme cose apparentemente lontane.
Ed ecco, ad esempio, le sue tane: nelle quali i bambini possono nascondersi per giocare a scomparire e, nello stesso tempo, per spiare il mondo e progettarne la conquista; oppure i suoi DialoQui che sono rappresentazioni di cose, ma anche rappresentazioni di rappresentazioni, in un gioco di specchi molto serio e potenzialmente mai finito.
C’è un enigma dietro tutto questo?
A volte mi pare di sì. A volte mi pare che le sue creazioni siano simboli dell’incoscio, da dipanare per trovare noi stessi.
L’immaginazione si avvale di almeno quattro strategie fondamentali:
La prima è l’esagerazione (che può spingersi fino alla deformazione): l’immaginazione è capace di ingrandire o rimpicciolire, come anche di distorcere un’immagine – di osservarla con la lente d’ingrandimento oppure di farla riflettere in uno specchio stregato. Si pensi ai giganti e ai folletti; ma anche alle caricature e agli orchi delle fiabe.
La seconda strategia è la composizione o ri-composizione di sostanze: un esempio evidente è la sirena (metà donna e metà pesce) oppure l’ippogrifo (metà cavallo e metà uccello).
La terza strategia è la attribuzione di qualità: un tappeto che vola, una sedia che cammina e così via.
La quarta strategia è l’assimilazione (o simbolizzazione): consiste nel sostituire una cosa ad un’altra. Si pensi alla metafora, alla metonimia, all’ossimoro, ma anche a quello che succede nei sogni o nelle pratiche magiche.
Antonella – non so fino a che punto lo faccia consapevolmente – potenzia le cose, accostandole, sommandole, mescolandole, aggiungendo luce e colore. Presa dall’ebbrezza della creazione, unisce l’acqua all’aria, il vento agli alberi, le canne alle nuvole; lega e slega le forme, i colori e i suoni; fa fiorire un giardino dentro un altro giardino.
Oppure mescola i generi d’espressione, la pittura e la scultura, la mimica e la danza, il teatro e la poesia. Dandoci l’impressione che il tempo si coaguli o si sciolga in figure e in metamorfosi di figure.
Una cosa che mi ha sempre sorpreso è che, per quanto sia urgente la sua volontà di creare, per quanto sia “ambiziosa”, per quanto sia necessaria, Antonella usa l’immaginazione con discrezione tutta femminile. Invitando gli altri a collaborare, cioè a creare con lei.
Per tale ragione, la sua creatività è contagiosa, come sanno i suoi allievi, spesso trasformati, da collaboratori affascinati, in affascinanti co-autori.
John Dewey indicava nella tessitura una delle attività fondamentali di una scuola nuova, basata sul lavoro, la scuola attiva.
Sergio Hessen voleva superare la scuola attiva con la scuola creativa.
Una scuola creativa è una scuola in cui si realizzano oggetti artistici, concerti, rappresentazioni teatrali, corridoi poetici, cineforum, ricerche negli archivi, esperimenti nei laboratori. Una scuola in cui le arti e le scienze nascono non solo dalla memoria, ma anche dalla immaginazione. Una scuola in cui allievi e insegnanti passeggiano riflettendo su ciò che è vero, bello, giusto. Progettando insieme come rendere il mondo migliore.
Mi sembra che Antonella ci abbia indicato una strada.





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